TRIBUNALE DI LECCE Sezione lavoro Ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale nella controversia tra O. M., rappresentato dall'avv. A. Gallo (ricorrente) e Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa ex art. 417-bis del codice di procedura civile dai funzionari dott.ri P. G. L., M. F., L. G., B. V. Ministero dell'economia e delle finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato (resistenti). All'udienza del 25 febbraio 2022 questo giudice ha introitato in Camera di consiglio la presente controversia per la decisione nel merito della stessa. All'esito della Camera di consiglio questo giudice ritiene tuttavia necessario - ai fini della decisione di causa - disporre la rimessione della questione a codesta ecc.ma Corte costituzionale. Va premesso che - in corso di causa e su espressa domanda del ricorrente - e' stata disposta sospensione in via cautelare del recupero azionato dal datore di lavoro (provvedimento del [...] a seguito di riserva assunta il [...]). E' stato anche disposto rinvio per la udienza di merito ex art. 420 del codice di procedura civile (inizialmente fissata al 18 febbraio 2022 e poi differita d'ufficio al 25 febbraio 2022). Alla presente udienza e' stata discussa la causa. Cio' detto, va fatto presente che - nella presente fase - questo giudice e' chiamato a decidere il merito della controversia e - pertanto - la tutela cautelare disposta in corso di causa non priva di rilevanza la presente questione per quanto si dira' oltre. Infatti, apparendo necessaria una rimeditazione della questione in diritto affrontata nella fase cautelare monocratica (non oggetto di reclamo), la natura provvisoria della misura cautelare in corso di causa - potenzialmente superabile dalla decisione del merito ora all'attenzione di questo giudice - fa ritenere necessario e dirimente sottoporre la presente questione di legittimita' costituzionale. La questione di legittimita' viene sollevata al fine di dare soluzione al giudizio di merito in un momento in cui e' correttamente ed effettivamente radicata la potesta' decisoria ad esso merito afferente (arg. ex Corte costituzionale n. 162/2021). Per migliore comprensione dell'esposizione, si ritiene di suddividere l'ordinanza in brevi paragrafi. Va parimenti premesso che questo giudice e' consapevole dell'ordinanza interlocutoria di rimessione a codesta ecc.ma Corte da parte della Corte di cassazione (ord. int. n. 40004/2021). I fatti di causa. Parte ricorrente, con ricorso di merito depositato unitamente a contestuale richiesta di misura cautelare in corso di causa, ha fatto presente che il (1) gli veniva notificato provvedimento da parte dell'amministrazione per il recupero di euro [...] euro per somme percepite tra il [...] a titolo di indebita fruizione per permessi ex legge n. 104/1992. Parte ricorrente fa presente che i permessi, fruiti per l'assistenza al figlio, sarebbero stati goduti in perfetta buona fede dal ricorrente e cio' ne avrebbe determinato il legittimo affidamento. Lo stesso ha sempre fatto presente che ogni istanza e' sempre stata debitamente consegnata all'amministrazione che e' sempre stata a conoscenza della documentazione sanitaria del ricorrente. Il ricorrente avrebbe anche presentato domanda di trasferimento ai sensi della citata legge n. 104/1992. Pertanto, l'inerzia dell'amministrazione nella verifica dei titoli determinerebbe una lesione dell'affidamento da parte del ricorrente che avrebbe fruito dei permessi in buona fede, contando sulla effettiva completezza della documentazione prodotta. Tali circostanze determinerebbero una causa di irripetibilita' dell'indebito. Eccepisce anche parziale prescrizione del credito, argomentando circa la durata quinquennale della prescrizione stessa. Il Ministero dell'economia e delle finanze si e' costituito eccependo l'infondatezza del ricorso e, in via preliminare, il proprio difetto di legittimazione passiva. In corso di giudizio, ai sensi di Cassazione n. 29755/19, si e' disposta integrazione del contraddittorio nei confronti dell'amministrazione datrice di lavoro (Agenzia delle entrate) che - nel costituirsi - ha ribadito la correttezza del proprio operato. Ha anche fatto presente che il ricorrente avrebbe fruito di permessi non dovuti e questo giustificherebbe pienamente il diritto alla ripetizione di quanto percepito. La disposta integrazione del contraddittorio ha eliso qualsiasi contestazione rispetto alla legittimazione passiva delle parti, vertendosi in ipotesi di litisconsorzio secondo la giurisprudenza di legittimita' sopra citata. Come detto, in fase cautelare, e' stato emesso provvedimento di sospensione del recupero azionato a carico del ricorrente. Tuttavia, nella fase di merito, la questione di diritto necessita una rimeditazione della problematica affrontata, anche dalle parti, circa l'applicabilita' diretta o meno dei principi di diritto sanciti dalle sentenze della Corte EDU Cakarevich e [...] (e ulteriore giurisprudenza conforme nelle stesse richiamata). Per quanto riguarda gli elementi di fatto maggiormente rilevanti nel caso di specie, si ritiene di indicare in premessa che: nel [...] il ricorrente ha presentato domanda per la fruizione dei permessi ex legge n. 104/1992 sulla base di certificato ASL con indicazione di rivedibilita'; dopo la visita di revisione - verbale di revisione del [...] - il ricorrente ha correttamente prodotto il nuovo certificato - che non riconosceva tuttavia lo stato sanitario rilevante ai fini della concessione dei permessi - all'amministrazione; la stessa amministrazione, tuttavia, nulla ha eccepito circa il venir meno del requisito sanitario ed ha continuato a consentire i permessi via via richiesti; lo stesso ricorrente rappresenta (pg. 9 ricorso) che tale condotta lo ha indotto a non ritenere necessaria l'impugnazione - a pena di decadenza - del verbale di accertamento del [...]; la difesa datoriale relativa ad un errore di inserimento dati (cfr. anche infra) non trova supporto nella documentazione allegata; la condotta dell'ente - che nulla ha fatto dopo aver acquisito il nuovo verbale ASL (circostanza ammessa dallo stesso ente) - in assenza di prova di un errore materiale di inserimento in banca dati «assenze» (che non puo' pero' che essere antecedente il nuovo verbale di revisione) va piuttosto interpretata come concreto indizio che lo stesso abbia ritenuto idoneo anche il successivo verbale idoneo alla fruizione dei permessi ingenerando cosi' un legittimo affidamento del ricorrente; solo nel [...] veniva avviato procedimento preordinato al recupero somme. La normativa applicabile. Va premesso che la normativa che viene in rilievo ai fini della presente questione e' l'art. 2033 del codice civile (2) , per come interpretato alla luce del c.d. diritto vivente. Tale norma e' infatti la disposizione che regola gli indebiti retributivi dei pubblici dipendenti (cfr. infra). Al fine di dirimere ogni dubbio in proposito, va fatto presente che la difesa erariale richiama altresi' l'art. 406 del regio decreto n. 827 del 1924, l'art. 3 del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295, nonche' l'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1544 del 1955. Orbene, rispetto alla questione qui prospettata, le citate norme sono irrilevanti in quanto l'art. 406 cit. recita: Ove una o piu' rate di stipendi, pensioni od altri assegni fissi personali fossero state indebitamente pagate ai titolari, l'amministrazione, se non abbia altro mezzo immediato per conseguirne il rimborso, puo' trattenere il pagamento delle rate posteriori sino alla concorrenza delle somme indebitamente pagate, senza bisogno di atto giudiziale o di qualsiasi altra autorizzazione. L'art. 3 del regio decreto-legge cit. recita: Ove risulti effettuato il pagamento di somma prescritta o, in genere, risultino pagate una o piu' rate non dovute di stipendi ed assegni equivalenti, di pensione ed indennita' che ne tengano luogo, o di uno qualsiasi degli assegni indicati dal decreto luogotenenziale 2 agosto 1917, n. 1278, l'amministrazione, se non abbia altro mezzo immediato per conseguire il rimborso, puo' trattenere il pagamento delle rate successive, ed in genere di qualunque altro credito che venga a maturarsi anche oltre il limite del quinto e fino al massimo di un terzo previa comunicazione scritta del relativo provvedimento amministrativo. L'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1544 del 1955 recita: E' demandato agli uffici provinciali del Tesoro il compito di provvedere al recupero dei crediti erariali derivanti da indebite riscossioni effettuate da dipendenti dello Stato in attivita' di servizio o da pensionati ed altri assegnatari in relazione alle competenze oggetto dei ruoli di spesa fissa che detti uffici amministrano. Il ricupero predetto deve essere effettuato osservando le disposizioni di cui all'art. 3 del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n. 295. Agli uffici stessi e' demandata inoltre la facolta' di concedere, a richiesta degli interessati, la ratizzazione, entro un periodo massimo di cinque anni, del rimborso dei debiti di cui al comma precedente. Come visto, le stesse norme disciplinano il quomodo della riscossione a fronte di un indebito acclarato; non disciplinano il «se» una determinata somma sia stata erogata indebitamente e il «se» la stessa debba essere oggetto di ripetizione. Pertanto, sono irrilevanti nel giudizio a quo in quanto la valutazione che - in via assolutamente dirimente - l'atto introduttivo ha demandato a questo giudice e' di statuire se le somme oggetto di giudizio siano ripetibili o meno. Ci si trova quindi in una fase logicamente antecedente rispetto alla disciplina invocata dalla difesa erariale e rispetto alla quale la norma di riferimento e', come si vedra', l'art. 2033 del codice civile. La rilevanza della questione. Va premesso che la richiesta di consulenza medica effettuata in sede di discussione (e menzionate nelle istanze istruttorie) da parte ricorrente non sarebbe in ogni caso idonea a «sanare» retroattivamente la situazione. Infatti, la presenza di valido certificato della competente commissione e' requisito non sanabile ex post stante anche la mancata impugnazione dello stesso nei termini di legge. In sostanza, non solo tale richiesta non e' in grado di elidere la rilevanza della presente questione ma non appare ammissibile in quanto rimetterebbe le parti in termini rispetto ad un onere di impugnazione non soddisfatto (arg. ex art. 42, comma 1 e 3 decreto-legge n. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003). In ogni caso, non potrebbe mai una consulenza sanare retroattivamente la fruizione di permessi avvenuta in assenza di idonea certificazione al momento del godimento stesso. In ultimo, il contenuto del ricorso, tra l'altro, non e' formulato neppure in questi termini essendo la richiesta di consulenza solo incidentalmente menzionata nelle istanze istruttorie (e reiterata in udienza di discussione) e non essendo tale questione invero oggetto di ricorso e di specifica allegazione nel corpo dello stesso. La richiesta e' quindi inammissibile e non incide sulla rilevanza della questione qui sollevata. Trattandosi di pubblico impiego privatizzato non viene neppure in rilievo la legge n. 241/1990 in quanto il datore di lavoro agisce con i poteri del datore di lavoro privato (Cassazione n. 23827/2021; Cassazione n. 19425/2013; Cassazione n. 3360/2005; Cassazione n. 23741/2008, tra le molte). In merito all'eccezione di prescrizione proposta, va fatto presente che - da un lato - essa non priverebbe in ogni caso di rilevanza la questione in quanto afferente solo ad una parte dei periodi oggetto di ripetizione; dall'altro, la stessa e' comunque infondata in quanto - anche rispetto alla giurisprudenza amministrativa richiamata da parte ricorrente (oggetto di riforma, tra l'altro, da parte di CdS 97/2021 proprio in punto di prescrizione) - [...] e' consolidato in giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV: 13 aprile 2017, n. 1714; 3 novembre 2015, numeri 5011, 5010 e 5009; 24 aprile 1993, n. 294; nonche' Corte dei conti, sez. giur. Veneto, 19 novembre 2009, n. 782) il principio, per cui il diritto alla repetitio indebiti da parte della pubblica amministrazione, a norma dell'art. 2946 del codice civile, e' soggetto a prescrizione ordinaria decennale, il cui termine decorre dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate. E' pacifico tale orientamento anche nella giurisprudenza della Corte di cassazione (Cassazione n. 27080/2020 che, a sua volta, richiama Cassazione 5 novembre 2019, n. 28436; cfr. anche Cassazione 21 marzo 2019, n. 14426; Cassazione 10 settembre 2018, n. 21962; Cassazione 21 marzo 2019, n. 14426). In sostanza, l'eccezione, oltre a essere irrilevante, e' anche infondata. Cio' posto, va per precisione rimarcato che - nel pubblico impiego - la retribuzione dei permessi ex legge n. 104/1992 non prevede il meccanismo di conguaglio con l'ente previdenziale (cfr. anche Cassazione n. 20684/2016). Trattasi di somme a carico del datore di lavoro e come tali soggette all'art. 2033 del codice civile in ipotesi di indebita percezione delle stesse. Nella giurisprudenza ordinaria di legittimita', infatti, l'identificazione dell'art. 2033 del codice civile come norma regolatrice delle fattispecie di indebito nei rapporti tra datore di lavoro pubblico e lavoratore e' dato acquisito. In tal senso si ritiene di poter richiamare, tra le molte, Cassazione n. 8338/2010: In materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell'indebito proposta da una amministrazione (nella specie, da una AUSL) nei confronti di un proprio dipendente in relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l'erogazione e' avvenuta «sine titulo», la ripetibilita' delle somme non puo' essere esclusa ex art. 2033 del codice civile per la buona fede dell'«accipiens», in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi. Sono conformi, tra le altre, Cassazione n. 30/2020, Cassazione n. 29926/2008, Cassazione n. 11547/2021, Cassazione n. 13479/2018, Cassazione n. 4619/2019, Cassazione n. 20997/2019, Cassazione n. 21267/2017, Cassazione n. 24835/2015. Cassazione n. 4323/2017, per quanto motivata in termini parzialmente diversi, giunge a conclusioni non dissimili e postula pur sempre l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile al caso di specie. La stessa si da' carico di motivare rispetto ad orientamenti parzialmente divergenti del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, che - come si dira' oltre - sono da considerarsi superati dal diritto vivente anche in quella giurisdizione (amministrativa) o, comunque, inapplicabili al caso di specie (rispetto all'orientamento della magistratura contabile, in relazione all'indebito pensionistico pubblico). In ogni caso, la stessa decisione appare - rispetto al suo percorso motivazionale nella parte in cui invero sembrerebbe considerare anche la buona fede/affidamento ai fini della ripetibilita' - comunque isolata rispetto al pressocche' monolitico orientamento della Cassazione sopra riportato. Trattasi - in sostanza - di un orientamento (quello che prevede la applicabilita' senza deroghe dell'art. 2033 del codice civile a casi come quello di specie) che rispecchia - per costanza applicativa e coerenza dei rimandi - un vero e proprio diritto vivente. Da quanto sopra deriva l'insensibilita' della norma rispetto a qualsiasi valutazione della buona fede o del legittimo affidamento del percipiente relativamente alla sorte capitale del debito. I potenziali riflessi in tema di decorrenza di frutti e interessi non rilevano nel caso di specie non essendovi specifica questione sul punto e comunque essendo oggetto principale del giudizio la questione sulla irripetibilita' dell'indebito in se'. Tale «insensibilita'» viene altresi' giustificata dalla natura pubblica delle risorse erogate che, anche ai fini della tutela dell'art. 97 della Costituzione e dell'art. 81 della Costituzione, impongono obbligatoriamente di attivarsi per il recupero degli indebiti. La stessa giurisprudenza amministrativa, come sopra accennato, ha visto la presenza di un orientamento, invero minoritario, che pur predicando l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile ne mitigava l'applicazione prendendo in considerazione anche la posizione soggettiva del percipiente (CdS, VI sezione, sentenza n. 5315 del 2014, CdS, V sezione, 13 aprile 2012, n. 2118). Tale orientamento, oltre a risultare minoritario appare anche frutto di un'interpretazione antiletterale della norma. Inoltre, anche nel caso di specie, il diritto vivente sviluppatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa consente di ritenere tali precedenti come minoritari e sostanzialmente superati. In tal senso si richiama CdS., sez. III, 9 giugno 2014, n. 2903 nonche', piu' di recente, CdS, sez. I, parere n. 976/2021 in affare 90/2018, che afferma: In tal senso, come sopra anticipato, la replica ministeriale corrisponde alla consolidata giurisprudenza formatasi in subiecta materia, giurisprudenza che il Collegio non intende disattendere. Secondo questa giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. III, 26 maggio 2015, n. 3218, id., n. 2903 del 2014; sez. V., 8 gennaio 2020, n. 140; Cons. giust. amm. Sicilia, 9 giugno 2017, n. 287) «la percezione di emolumenti non dovuti da parte dei pubblici dipendenti impone all'amministrazione l'esercizio del diritto-dovere di ripetere le relative somme ai sensi dell'art. 2033 del codice civile; il recupero e' atto dovuto, privo di valenza provvedimentale e costituisce il risultato di attivita' amministrativa, di verifica e di controllo, di spettanza di tutti gli uffici pubblici in merito a spese erogabili e/o erogate a carico [in quella fattispecie del Servizio sanitario nazionale - n.d.r.], quindi necessariamente da recuperare e/o da trattenere in caso di accertata loro non debenza, a tutela proprio dell'erario e dell'utenza, in tempi ragionevoli con riguardo alla singola fattispecie. In tali ipotesi l'interesse pubblico e' "in re ipsa" e non richiede specifica motivazione, in quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'atto oggetto di recupero ha prodotto e produce di per se' un danno per l'amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo, ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente (cfr., fra le altre, Consiglio di Stato - sez. VI, n. 6500/2012 e n. 4284/2011). La non ripetibilita' delle maggiori somme corrisposte dell'amministrazione al dipendente puo', semmai, trovare riscontro solo in specifiche disposizioni normative (cfr. Consiglio di Stato - sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8503), e il solo temperamento al principio dell'ordinaria ripetibilita' dell'indebito e' rappresentato dalla regola per cui le modalita' di recupero devono essere, in relazione alle condizioni di vita del debitore, non eccessivamente onerose, ma tali da consentire la duratura percezione di una retribuzione che rassicuri un'esistenza libera e dignitosa (cfr., fra le altre, Consiglio di Stato - sez. VI n. 3950/2009)». Pertanto, anche la piu' recente giurisprudenza amministrativa definisce come consolidato l'orientamento che applica l'art. 2033 del codice civile in caso di ripetizione di indebito. Unico temperamento che risulta ammesso e' quello rispetto al quomodo del recupero, circostanza che non attiene al giudizio sottoposto all'attenzione di questo giudice e che comunque si pone a valle della questione - dirimente - qui da affrontare. Ne' risultano estensibili gli orientamenti in materia di indebito pensionistico pubblico in quanto afferenti a settore diverso e regolato da una propria normativa specifica non applicabile al caso di specie (cfr. Cassazione n. 4323/17 in motivazione, punti 3 e seguenti e 4 e seguenti). Inoltre, come detto, il diritto vivente e' nel senso dell'applicazione a fattispecie come quella in oggetto dell'art. 2033 del codice civile e pertanto - anche alla luce delle argomentazioni di cui a Corte costituzionale n. 166/1996 - a tale norma va fatto riferimento nel caso di specie. Risulterebbero quindi irrilevanti - stante l'oggetto del ricorso di merito pendente innanzi a questo giudice rimettente - sia la buona fede sia il legittimo affidamento del percettore. In sostanza la giurisprudenza citata viene a costituire quel diritto vivente in presenza del quale il giudice a quo - se e' pur libero di non uniformarvisi e di proporre una sua diversa esegesi, essendo la «vivenza» della norma una vicenda per definizione aperta, ancor piu' quando si tratti di adeguarne il significato a precetti costituzionali - ha alternativamente la facolta' di assumere l'interpretazione censurata in termini di «diritto vivente» e di richiederne su tale presupposto il controllo di compatibilita' con parametri costituzionali (sentenze n. 191 del 2013, n. 258 e n. 117 del 2012 e n. 91 del 2004); cosi' Corte costituzionale n. 242/2014; in tal senso anche sentenze n. 33 del 2021, n. 75 del 2019, n. 39 del 2018, n. 259 e n. 122 del 2017. Non si ritiene possibile, alla luce di un cosi' consolidato orientamento giurisprudenziale, un'interpretazione adeguatrice della norma e si ritiene pertanto che l'unica soluzione prospettabile sia quella volta a sollevare un incidente di costituzionalita'. Ne' - in ultimo - a diversa valutazione conduce la recente sentenza del Consiglio di Stato n. 5014/2021. La stessa invero - con una parabola argomentativa che la rende ipotesi a se' rispetto al pregresso e minoritario orientamento del giudice amministrativo e, pertanto, necessitante di essere affrontata separatamente - sembra aver fatto diretta applicazione dei principi CEDU (sentenze Cakarevich e [...]) disapplicando la speciale normativa applicabile al caso di specie da essa affrontato. Tuttavia, la stessa appare inidonea a scalfire il ragionamento sopra esposto per i seguenti motivi: la sentenza riguarda una fattispecie nella quale entra in gioco, almeno parzialmente, una disciplina normativa non rilevante in questo caso, ossia l'art. 9 della legge n. 428 del 1985 e l'art. 5, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 429 del 1986. Entrambe hanno ad oggetto i c.d. pagamenti automatizzati. Nel caso di specie, si verte in punto di spettanza dei permessi ex legge n. 104/1992; invero, nella fattispecie oggetto della sentenza n. 5014/2021 sembra non rilevare l'art. 2033 del codice civile, essendo piuttosto rilevante stabilire se il caso concreto consentisse di ripetere le somme oltre i limiti dell'art. 9 della legge n. 428/1985; la sentenza, punto 19 delle motivazioni, sembra far riferimento, rispetto al protocollo addizionale CEDU, alla nozione di disapplicazione propria delle norme eurounitarie. In assenza di adesione dell'Unione europea alla CEDU non appare possibile pervenire alla disapplicazione di una norma interna per contrasto con l'art. 1 del protocollo addizionale CEDU; l'introduzione della nozione di legittimo affidamento e buona fede nella valutazione della ripetizione di un indebito soggetto all'art. 2033 del codice civile comporta un'interpretazione antiletterale e parzialmente abrogatrice della norma e questo in presenza di un diritto vivente che, come sopra illustrato, sembra orientato alla piena applicazione dell'art. 2033 del codice civile. Infatti - arg. ex Corte costituzionale n. 77/2007, punto 4 ss, e Corte costituzionale n. 123/2020 - si sarebbe davvero in presenza di un'interpretazione antiletterale del testo che poggia sull'innesto di un elemento (buona fede) previsto dall'art. 2033 del codice civile con specifico riferimento alla restituzione di frutti e interessi e non al debito «principale». Cio' senza considerare anche le argomentazioni sopra spese per le ulteriori «critiche» a CdS n. 5014/2021. In assenza di intervento di codesta ecc.ma Corte la domanda andrebbe quindi rigettata nel merito (con conseguente venir meno della tutela cautelare adottata in corso di causa) in quanto - con l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile per come costantemente interpretato - non potrebbero essere presi in considerazione una serie di elementi fattuali che il ricorrente ha allegato per provare la propria buona fede e la formazione del proprio legittimo affidamento. Infatti, il punto di partenza fattuale non contestato e' che per il periodo oggetto di causa effettivamente la fruizione dei permessi non fosse supportata da idonea documentazione sanitaria rispetto al familiare da assistere. Proprio per questo parte ricorrente poggia le proprie difese sul riscontro della buona fede e di un legittimo affidamento ingenerato dalla condotta dell'amministrazione. Viceversa, in caso di accoglimento della questione qui sollevata, questo giudice potrebbe valutare nel merito le allegazioni e i documenti prodotti dal ricorrente al fine di provare la sussistenza della buona fede e di un legittimo affidamento nella percezione degli emolumenti ora chiesti in ripetizione. La questione, come detto, e' non solo rilevante ma anche dirimente rispetto all'iter logico che questo giudice deve seguire nella decisione della controversia. Come rappresentato da codesta ecc.ma Corte - sentenza n. 59/2021, tra le altre - La rilevanza si configura come «necessita' di applicare la disposizione censurata nel percorso argomentativo che conduce alla decisione e si riconnette all'incidenza della pronuncia di questa Corte su qualsiasi tappa di tale percorso» (sentenza n. 254 del 2020, punto 4.2. del Considerato in diritto). L'applicabilita' della disposizione censurata e' dunque sufficiente a fondare la rilevanza della questione proposta (fra le molte, sentenza n. 174 del 2016, punto 2.1. del Considerato in diritto). Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, la rilevanza della questione risiede nell'applicazione dell'art. 2033 del codice civile per come interpretato dal diritto vivente sopra riportato. Il quadro giurisprudenziale induce a ritenere che, pertanto, l'orientamento in diritto assunto nella fase cautelare non possa essere piu' mantenuto fermo e - per le sopra esposte argomentazioni - vada sollevata la presente questione di legittimita'. In sintesi: in assenza di intervento additivo di codesta ecc.ma Corte, il ricorso andrebbe rigettato, con conseguente caducazione della misura cautelare emessa in corso di causa, in quanto il diritto vivente postula l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile il quale non consente di valutare la buona fede e il legittimo affidamento del percettore; in caso di accoglimento, di contro, il giudice nella valutazione del merito della causa potrebbe/dovrebbe tenere conto di una serie di elementi di fatto indicati e provati in ricorso (cfr. paragrafo seguente) al fine di giudicare circa la ripetibilita', o meno, dell'indebito (valutazione, come sopra detto, altrimenti preclusa). La presenza di un provvedimento cautelare in corso di causa non incide sulla rilevanza della questione in quanto la presente ordinanza di rimessione e' stata emessa all'esito della Camera di consiglio seguente la trattazione della causa in fase di merito. Non manifesta infondatezza. L'art. 2033 del codice civile - anche alla luce del citato diritto vivente - si pone in contrasto con l'art. 11 e con l'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 1 protocollo addizionale CEDU ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848 cosi' per come risulta interpretato alla luce della giurisprudenza della Corte EDU. In tal senso - infatti - la consolidata giurisprudenza della Corte EDU qui richiamata accorda ai diritti di credito entrati nel patrimonio di un soggetto tutela analoga a quella della proprieta' privata, facendo rientrare tali situazioni giuridiche nell'ambito di applicazione del citato art. 1 protocollo addizionale CEDU. Sulla scorta di tale equiparazione di tutele, con una serie di pronunce, la Corte EDU e' giunta a sindacare - sotto il profilo della proporzionalita' - l'azione di recupero avviata dalle amministrazioni pubbliche (in materia sia lavoristica sia previdenziale). Tale giurisprudenza ha riguardato anche l'Italia, che e' stata condannata per violazione della norma convenzionale sopra riportata nell'ambito del procedimento Corte EDU, sezione 1, sentenza [...] c. Italia, 11 febbraio 2021, r.g. n. 4893/13 (circostanza relativa a ripetizione di indebito in materia di pubblico impiego privatizzato, come nel caso di specie). Come riportato anche da CdS n. 5014/2021, la Corte EDU ha delineato una serie di indicatori che consentono di ritenere illegittima l'interferenza: (§74 della richiamata decisione): «a) il pagamento di un assegno deve essere effettuato a seguito di una richiesta del beneficiario che agisce in buona fede [...] o, in assenza di tale richiesta, dalle autorita' che procedono spontaneamente; b) il versamento in questione deve essere effettuato da un ente pubblico, amministrazione centrale dello Stato o altro ente pubblico, sulla base di una decisione presa al termine di un processo amministrativo e presumibilmente corretta [...]; c) deve essere basato su una disposizione legale, regolamentare o contrattuale, la cui applicazione deve essere percepita dal beneficiario come la "fonte" del pagamento [...], e anche identificabile nel suo importo; d) e' escluso il pagamento manifestamente privo di titolo o basato su semplici errori di calcolo; tali errori possono essere rilevati dal beneficiario, eventualmente ricorrendo ad un esperto; e) deve essere eseguito per un periodo sufficientemente lungo da far sorgere una ragionevole convinzione che sia definitivo e stabile [...]; l'assegno versato non deve essere riconducibile ad un'attivita' professionale una tantum e "isolata" ma deve essere collegato all'attivita' ordinaria; f) infine, il pagamento in questione non deve essere stato effettuato con menzione di una riserva di ripetizione». Tali indicazioni sono anche frutto dei richiami giurisprudenziali ad altre pronunce Corte EDU che hanno delineato un comune (e consolidato) assetto di principi in materia (cfr. anche Romeva c. Macedonia del Nord, caso n. 32141/10, 12 dicembre 2019; Čakarević c. Croazia caso n. 48921/13, 26 aprile 2018, tra le altre). Tale assetto della giurisprudenza sovranazionale consente anche di ritenere consolidato l'orientamento della Corte EDU in materia (come sembra anche richiesto da Corte costituzionale n. 49/2015 per fungere quale parametro di legittimita' costituzionale). Ulteriormente, la sentenza Cakarevic ha statuito in via di principio che errori dell'ente non dovrebbero - di base - essere posti a carico del cittadino (cita in tal senso altre pronunce del medesimo organo: Platakou v. Greece, no. 38460/97, § 39; Radchikov v. Russia, no. 65582/01, § 50, 24 maggio 2007; Freitag v. Germany, no. 71440/01, §§ 37-42, 19 luglio 2007; and Šimecki v. Croatia, no. 15253/10, § 46, 30 aprile 2014). Inoltre, i tempi di intervento dell'ente erogante dovrebbero essere contenuti e congrui (cita in tal senso la pronuncia nel caso Tunnel Report Limited v. France, no. 27940/07, § 39, 18 novembre 2010, and Zolotas v. Greece (no. 2), no. 66610/09, § 42). Tali richiami sono fatti propri anche dalla citata sentenza. Nel caso di specie, quindi la giurisprudenza sovranazionale ha delineato un modello che - in un'ottica di bilanciamento con il principio di proporzionalita' - limita il recupero di somme da parte del datore di lavoro pubblico in presenza di talune circostanze (sintetizzabili nell'ipotesi di riconosciuta formazione di un legittimo affidamento del percettore di buona fede). Orbene, nel caso concreto sottoposto all'attenzione di questo giudice, sono stati allegati e provati elementi sussumibili nelle indicazioni fornite dalla Corte EDU; infatti: i benefici sono stati fruiti a seguito di domanda accolta dall'amministrazione; non vi era alcuna manifesta insussistenza del titolo, tanto piu' che il ricorrente ha sempre prodotto la documentazione sanitaria sopravvenuta ed e' stata l'amministrazione che la ha considerata valida; il ricorrente non ha mai taciuto informazione alcuna all'ente datore di lavoro (come espressamente confermato dalla memoria di Agenzia delle entrate, pg. 2); il ricorrente ha fruito dei benefici per un lungo periodo di tempo, circa sei anni (...); sulla base del medesimo presupposto il ricorrente ha formulato anche domanda di avvicinamento alla propria residenza; Agenzia delle entrate parla di errore nell'inserimento nella procedura gestione assenze relativamente alla durata della certificazione medica, tuttavia di questo errore non vi e' prova documentale e inoltre il ricorrente ha sempre prodotto la documentazione aggiornata e quindi non si coglie perche' non sia stata valutata la documentazione successivamente prodotta; in sostanza, e' la condotta del datore di lavoro che appare aver ingenerato nel ricorrente l'affidamento circa la persistenza del diritto e l'idoneita' della documentazione prodotta; inoltre, va fatto presente che l'amministrazione non ha prodotto alcun provvedimento di concessione temporanea dei permessi continuando a consentire la fruizione degli stessi anche dopo che - correttamente - il ricorrente aveva prodotto il verbale di revisione. Piuttosto che di errore di inserimento dati (di cui l'ente datore non fornisce prova alcuna), sembra potersi affermare - dall'analisi degli atti di causa - piuttosto che l'ente abbia considerato idonea la produzione documentale successiva; il pagamento dei permessi retribuiti e' avvenuto sulla base di fonte certa, nota al ricorrente e distinguibile nell'ammontare; non si tratta di mero errore di calcolo e non vi e' menzione di ripetizione nel pagamento. Tuttavia, in assenza di intervento di codesta ecc.ma Corte tali elementi non potrebbero essere valutati al fine di statuire circa la ripetibilita' delle somme percepite ma al piu' - in linea con il tenore letterale dell'art. 2033 del codice civile e con la sua costante interpretazione di legittimita' - circa misura degli accessori del credito restitutorio (questione pero' non oggetto di specifica censura in ricorso e comunque eventualmente secondaria rispetto a quella logicamente preliminare, ossia la dichiarazione di irripetibilita' dell'indebito). L'art. 1 del citato protocollo addizionale alla Convezione EDU impone invece, per come interpretato dalla giurisprudenza della stessa Corte EDU, che per essere legittima una ripetizione di indebito debba rispettare, anche, il criterio di proporzionalita' e tale rispetto va valutato tenendo della buona fede e del legittimo affidamento del percettore; elementi questi riscontrabili anche attraverso una serie di elementi indiziari che la Corte EDU si e' premurata di indicare. In sostanza, l'assenza nella normativa interna di una possibilita' di valutazione di tali elementi (buona fede e legittimo affidamento) rispetto alla ripetibilita' di un indebito costituisce una non proporzionata interferenza violativa dell'art. 1 protocollo addizionale cit. Deve quindi rilevarsi che la disposizione dell'art. 2033 del codice civile - per come applicabile al caso di specie in base al diritto vivente - si pone in contrasto con l'art. 11 e l'art. 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 1 protocollo addizionale CEDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (cosi' come interpretato dalle sentenze della Corte EDU sopra richiamate) nella parte in cui non prevede l'irripetibilita' dell'indebito retributivo del pubblico dipendente percettore di somme in buona fede laddove la condotta dell'ente datore abbia ingenerato un legittimo affidamento circa la spettanza della pretesa. Va parimenti precisato che - ... sebbene l'ordinanza di rimessione delle questioni di legittimita' costituzionale non necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante altresi' un petitum, essendo sufficiente che dal tenore complessivo della motivazione emerga con chiarezza il contenuto ed il verso delle censure (sentenza n. 175 del 2018), cosi' anche Corte costituzionale n. 194/2021 - la richiesta della presente pronuncia additiva non incide su profili di discrezionalita' del legislatore in quanto la nozione di buona fede e', seppure in diversa funzione, gia' presa in considerazione dall'art. 2033 del codice civile. Inoltre, la stessa giurisprudenza sovranazionale contiene indici sintomatici circa la sussistenza del citato legittimo affidamento e pertanto sussistono criteri ermeneutici consolidati che, in caso di accoglimento della sollevata questione, potrebbero guidare l'interprete. Si ritiene parimenti doveroso sottolineare che la stessa Corte EDU ha ritenuto la violazione dell'art. 1 protocollo addizionale della Convenzione sotto il profilo della proporzionalita'. Cio' induce a rappresentare che - dato il consolidato orientamento della Corte EDU - non venga del tutto meno la doverosita' della ripetizione delle somme da parte dell'amministrazione (che trova la propria fonte nei principi degli articoli 81 e 97 della Costituzione) ma, di contro, l'ente datore di lavoro in sede amministrativa, prima, ed eventualmente il giudice in sede contenziosa, dopo, dovranno valutare la sussistenza dei presupposti del legittimo affidamento (e della iniziale percezione in buona fede) per come sopra delineato/i. In sostanza, si introduce un bilanciamento, ispirato a criteri di proporzionalita', tra l'obbligo di agire dell'amministrazione e la tutela del patrimonio del soggetto «debitore». Ne' viene incisa la discrezionalita' del legislatore - ad avviso di questo giudice - in quanto la pronuncia manipolativa richiesta appare «vincolata» dalla costante giurisprudenza della Corte EDU e pertanto non si ritiene possano trovare fondamento i limiti discrezionali indicati da codesta ecc.ma Corte nella sentenza n. 1/2006, che - pur vertendo in diversa fattispecie - comunque si ritiene vada presa in considerazione ancorche' per escluderne, a sommesso avviso di questo giudice, la rilevanza nel caso di specie. In conclusione, il verso della soluzione proposta si ritiene l'unico in grado di garantire il rispetto della Convenzione europea per come interpretata dalla consolidata giurisprudenza CEDU (cfr. Corte costituzionale n. 12/2022, punto 2.3). Si tratta quindi di introdurre nell'ordinamento interno un bilanciamento tra interessi che renda proporzionato l'intervento del datore di lavoro pubblico in fase di recupero. Tale bilanciamento tra il patrimonio del ricorrente e le esigenze dell'amministrazione e' reso necessario dai vincoli internazionali che lo Stato e' tenuto a rispettare in virtu' degli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione (nel caso di specie in relazione all'art. 1 protocollo addizionale Convenzione EDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955). La disciplina dell'art. 2033 del codice civile si pone conseguentemente in contrasto con gli articoli 11 e 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 1 protocollo addizionale Convenzione EDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU. (1) Nel presente giudizio non vengono in rilievo provvedimenti impugnabili entro termini di decadenza, come si evince dall'analisi dagli atti di causa. Ne' - d'altronde - alcuno ha fatto di cio' questione. (2) Art. 2033 del codice civile: Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere cio' che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda.