TRIBUNALE DI LECCE 
                           Sezione lavoro 
 
    Ordinanza  di  rimessione   alla   Corte   costituzionale   nella
controversia tra O. M., rappresentato dall'avv. A. Gallo (ricorrente)
e Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa ex art.  417-bis  del
codice di procedura civile dai funzionari dott.ri P. G. L., M. F., L.
G., B. V. Ministero dell'economia e delle  finanze,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura dello Stato (resistenti). 
    All'udienza del 25 febbraio 2022 questo giudice ha introitato  in
Camera di consiglio la presente controversia  per  la  decisione  nel
merito della stessa. 
    All'esito  della  Camera  di  consiglio  questo  giudice  ritiene
tuttavia necessario - ai fini della decisione di causa - disporre  la
rimessione della questione a codesta ecc.ma Corte costituzionale. 
    Va premesso che - in corso di causa e  su  espressa  domanda  del
ricorrente - e' stata  disposta  sospensione  in  via  cautelare  del
recupero azionato dal datore di lavoro  (provvedimento  del  [...]  a
seguito di riserva assunta il [...]). E' stato anche disposto  rinvio
per la udienza di merito ex art. 420 del codice di  procedura  civile
(inizialmente fissata al 18 febbraio 2022 e poi  differita  d'ufficio
al 25 febbraio 2022). 
    Alla presente udienza e' stata discussa la causa. 
    Cio' detto, va fatto presente che - nella presente fase -  questo
giudice e' chiamato a decidere  il  merito  della  controversia  e  -
pertanto - la tutela cautelare disposta in corso di causa  non  priva
di rilevanza la presente questione per quanto si dira' oltre. 
    Infatti, apparendo necessaria una rimeditazione  della  questione
in diritto affrontata nella fase cautelare monocratica  (non  oggetto
di reclamo), la natura provvisoria della misura cautelare in corso di
causa - potenzialmente superabile  dalla  decisione  del  merito  ora
all'attenzione di questo giudice - fa ritenere necessario e dirimente
sottoporre la presente questione di legittimita' costituzionale. 
    La questione di legittimita' viene  sollevata  al  fine  di  dare
soluzione al giudizio di merito in un momento in cui e' correttamente
ed effettivamente radicata  la  potesta'  decisoria  ad  esso  merito
afferente (arg. ex Corte costituzionale n. 162/2021). 
    Per  migliore  comprensione  dell'esposizione,  si   ritiene   di
suddividere l'ordinanza in brevi paragrafi. Va parimenti premesso che
questo  giudice  e'  consapevole  dell'ordinanza  interlocutoria   di
rimessione a codesta ecc.ma Corte da parte della Corte di  cassazione
(ord. int. n. 40004/2021). 
    I fatti di causa. 
    Parte ricorrente, con ricorso di merito depositato  unitamente  a
contestuale richiesta di misura cautelare in corso di causa, ha fatto
presente che il (1) gli  veniva  notificato  provvedimento  da  parte
dell'amministrazione per il recupero di euro  [...]  euro  per  somme
percepite tra il [...] a titolo di indebita fruizione per permessi ex
legge n. 104/1992. Parte  ricorrente  fa  presente  che  i  permessi,
fruiti per l'assistenza al figlio, sarebbero stati goduti in perfetta
buona fede dal ricorrente e cio' ne avrebbe determinato il  legittimo
affidamento. Lo stesso ha sempre fatto presente che ogni  istanza  e'
sempre stata debitamente consegnata all'amministrazione che e' sempre
stata a conoscenza della documentazione sanitaria del ricorrente.  Il
ricorrente avrebbe anche presentato domanda di trasferimento ai sensi
della    citata    legge    n.    104/1992.    Pertanto,    l'inerzia
dell'amministrazione nella verifica  dei  titoli  determinerebbe  una
lesione dell'affidamento da parte del ricorrente che  avrebbe  fruito
dei permessi in buona  fede,  contando  sulla  effettiva  completezza
della documentazione prodotta. 
    Tali circostanze determinerebbero una  causa  di  irripetibilita'
dell'indebito. 
    Eccepisce anche parziale prescrizione del  credito,  argomentando
circa la durata quinquennale della prescrizione stessa. 
    Il Ministero dell'economia  e  delle  finanze  si  e'  costituito
eccependo l'infondatezza  del  ricorso  e,  in  via  preliminare,  il
proprio difetto di legittimazione passiva. 
    In corso di giudizio, ai sensi di Cassazione n. 29755/19,  si  e'
disposta   integrazione    del    contraddittorio    nei    confronti
dell'amministrazione datrice di lavoro (Agenzia delle entrate) che  -
nel costituirsi - ha ribadito la correttezza del proprio operato.  Ha
anche fatto presente che il ricorrente avrebbe fruito di permessi non
dovuti  e  questo  giustificherebbe  pienamente   il   diritto   alla
ripetizione di quanto percepito. 
    La disposta integrazione del contraddittorio ha  eliso  qualsiasi
contestazione  rispetto  alla  legittimazione  passiva  delle  parti,
vertendosi in ipotesi di litisconsorzio secondo la giurisprudenza  di
legittimita' sopra citata. 
    Come detto, in fase cautelare, e' stato emesso  provvedimento  di
sospensione del recupero azionato a carico del ricorrente.  Tuttavia,
nella  fase  di  merito,  la  questione  di  diritto  necessita   una
rimeditazione della problematica affrontata, anche dalle parti, circa
l'applicabilita' diretta o meno dei principi di diritto sanciti dalle
sentenze  della  Corte  EDU   Cakarevich   e   [...]   (e   ulteriore
giurisprudenza conforme nelle stesse richiamata). 
    Per quanto riguarda gli elementi di fatto maggiormente  rilevanti
nel caso di specie, si ritiene di indicare in premessa che: 
        nel  [...]  il  ricorrente  ha  presentato  domanda  per   la
fruizione dei permessi ex legge n. 104/1992 sulla base di certificato
ASL con indicazione di rivedibilita'; 
        dopo la visita di revisione - verbale di revisione del  [...]
- il ricorrente ha correttamente prodotto il nuovo certificato -  che
non riconosceva tuttavia lo stato sanitario rilevante ai  fini  della
concessione dei permessi - all'amministrazione; 
        la stessa amministrazione, tuttavia, nulla ha eccepito  circa
il venir meno del requisito sanitario ed ha continuato a consentire i
permessi via via richiesti; 
        lo stesso ricorrente rappresenta (pg.  9  ricorso)  che  tale
condotta lo ha indotto a non ritenere necessaria l'impugnazione  -  a
pena di decadenza - del verbale di accertamento del [...]; 
        la difesa datoriale relativa ad un errore di inserimento dati
(cfr. anche infra) non trova supporto nella documentazione allegata; 
        la  condotta  dell'ente  -  che  nulla  ha  fatto  dopo  aver
acquisito il nuovo verbale  ASL  (circostanza  ammessa  dallo  stesso
ente) - in assenza di prova di un errore materiale di inserimento  in
banca dati «assenze» (che non puo' pero' che  essere  antecedente  il
nuovo verbale di revisione) va piuttosto interpretata  come  concreto
indizio che lo stesso  abbia  ritenuto  idoneo  anche  il  successivo
verbale idoneo alla  fruizione  dei  permessi  ingenerando  cosi'  un
legittimo affidamento del ricorrente; 
        solo nel [...] veniva  avviato  procedimento  preordinato  al
recupero somme. 
    La normativa applicabile. 
    Va premesso che la normativa che viene in rilievo ai  fini  della
presente questione e' l'art. 2033 del codice civile (2)  ,  per  come
interpretato alla luce  del  c.d.  diritto  vivente.  Tale  norma  e'
infatti la disposizione  che  regola  gli  indebiti  retributivi  dei
pubblici dipendenti (cfr. infra). 
    Al fine di dirimere ogni dubbio in proposito, va  fatto  presente
che la difesa erariale richiama altresi' l'art. 406 del regio decreto
n. 827 del 1924, l'art. 3 del regio decreto-legge 19 gennaio 1939, n.
295, nonche' l'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica  n.
1544 del 1955. 
    Orbene, rispetto alla questione qui prospettata, le citate  norme
sono irrilevanti in quanto l'art. 406 cit. recita:  Ove  una  o  piu'
rate di stipendi, pensioni od altri assegni fissi  personali  fossero
state indebitamente pagate ai  titolari,  l'amministrazione,  se  non
abbia  altro  mezzo  immediato  per  conseguirne  il  rimborso,  puo'
trattenere il pagamento delle rate posteriori sino  alla  concorrenza
delle somme indebitamente pagate, senza bisogno di atto giudiziale  o
di qualsiasi altra autorizzazione. 
    L'art.  3  del  regio  decreto-legge  cit.  recita:  Ove  risulti
effettuato il pagamento di somma prescritta o, in  genere,  risultino
pagate una o piu' rate non dovute di stipendi ed assegni equivalenti,
di pensione ed indennita' che ne tengano luogo, o  di  uno  qualsiasi
degli assegni indicati dal decreto luogotenenziale 2 agosto 1917,  n.
1278, l'amministrazione, se  non  abbia  altro  mezzo  immediato  per
conseguire il rimborso,  puo'  trattenere  il  pagamento  delle  rate
successive, ed in genere di  qualunque  altro  credito  che  venga  a
maturarsi anche oltre il limite del quinto e fino al  massimo  di  un
terzo  previa  comunicazione  scritta  del   relativo   provvedimento
amministrativo. 
    L'art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1544  del
1955 recita: E' demandato  agli  uffici  provinciali  del  Tesoro  il
compito di provvedere al recupero dei crediti erariali  derivanti  da
indebite  riscossioni  effettuate  da  dipendenti  dello   Stato   in
attivita' di  servizio  o  da  pensionati  ed  altri  assegnatari  in
relazione alle competenze oggetto dei ruoli di spesa fissa che  detti
uffici amministrano. Il  ricupero  predetto  deve  essere  effettuato
osservando le disposizioni di cui all'art. 3 del regio  decreto-legge
19 gennaio 1939, n. 295. Agli uffici stessi e' demandata  inoltre  la
facolta'  di   concedere,   a   richiesta   degli   interessati,   la
ratizzazione, entro un periodo massimo di cinque anni,  del  rimborso
dei debiti di cui al comma precedente. 
    Come  visto,  le  stesse  norme  disciplinano  il  quomodo  della
riscossione a fronte di un indebito acclarato;  non  disciplinano  il
«se» una determinata somma sia stata erogata indebitamente e il  «se»
la stessa debba essere oggetto di ripetizione. 
    Pertanto, sono irrilevanti  nel  giudizio  a  quo  in  quanto  la
valutazione  che  -  in  via   assolutamente   dirimente   -   l'atto
introduttivo ha demandato a questo giudice e' di statuire se le somme
oggetto di giudizio siano ripetibili o meno. Ci si  trova  quindi  in
una fase logicamente antecedente rispetto  alla  disciplina  invocata
dalla difesa erariale e rispetto alla quale la norma  di  riferimento
e', come si vedra', l'art. 2033 del codice civile. 
    La rilevanza della questione. 
    Va premesso che la richiesta di consulenza medica  effettuata  in
sede di discussione (e menzionate nelle istanze istruttorie) da parte
ricorrente   non   sarebbe   in   ogni   caso   idonea   a   «sanare»
retroattivamente  la  situazione.  Infatti,  la  presenza  di  valido
certificato della competente commissione e' requisito non sanabile ex
post stante anche la mancata impugnazione dello stesso nei termini di
legge. In sostanza, non solo  tale  richiesta  non  e'  in  grado  di
elidere  la  rilevanza  della  presente  questione  ma   non   appare
ammissibile in quanto rimetterebbe le parti in termini rispetto ad un
onere di impugnazione non soddisfatto (arg. ex art. 42, comma 1  e  3
decreto-legge n. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003).  In  ogni
caso, non potrebbe mai  una  consulenza  sanare  retroattivamente  la
fruizione di permessi avvenuta in assenza di idonea certificazione al
momento del godimento stesso. In ultimo, il  contenuto  del  ricorso,
tra l'altro, non e' formulato neppure in questi  termini  essendo  la
richiesta di consulenza solo incidentalmente menzionata nelle istanze
istruttorie (e reiterata in udienza di  discussione)  e  non  essendo
tale questione invero oggetto di ricorso e di  specifica  allegazione
nel corpo dello stesso. La richiesta e' quindi  inammissibile  e  non
incide sulla rilevanza della questione qui sollevata. 
    Trattandosi di pubblico impiego privatizzato non viene neppure in
rilievo la legge n. 241/1990 in quanto il datore di lavoro agisce con
i poteri del datore di  lavoro  privato  (Cassazione  n.  23827/2021;
Cassazione n. 19425/2013;  Cassazione  n.  3360/2005;  Cassazione  n.
23741/2008, tra le molte). 
    In  merito  all'eccezione  di  prescrizione  proposta,  va  fatto
presente che - da un lato - essa  non  priverebbe  in  ogni  caso  di
rilevanza la questione in quanto afferente  solo  ad  una  parte  dei
periodi oggetto di ripetizione; dall'altro,  la  stessa  e'  comunque
infondata  in   quanto   -   anche   rispetto   alla   giurisprudenza
amministrativa richiamata da parte ricorrente  (oggetto  di  riforma,
tra  l'altro,  da  parte  di  CdS  97/2021  proprio   in   punto   di
prescrizione) - [...] e' consolidato in  giurisprudenza  (ex  multis,
Consiglio di Stato, sez. IV: 13 aprile  2017,  n.  1714;  3  novembre
2015, numeri 5011, 5010 e 5009; 24 aprile 1993, n. 294; nonche' Corte
dei conti, sez. giur. Veneto, 19 novembre 2009, n. 782) il principio,
per cui il diritto alla repetitio indebiti da  parte  della  pubblica
amministrazione,  a  norma  dell'art.  2946  del  codice  civile,  e'
soggetto a prescrizione ordinaria decennale, il cui  termine  decorre
dal giorno in cui le somme sono state materialmente erogate. 
    E' pacifico tale orientamento anche  nella  giurisprudenza  della
Corte di cassazione (Cassazione  n.  27080/2020  che,  a  sua  volta,
richiama Cassazione 5 novembre 2019, n. 28436; cfr. anche  Cassazione
21 marzo 2019, n. 14426; Cassazione  10  settembre  2018,  n.  21962;
Cassazione 21 marzo 2019, n. 14426). 
    In sostanza, l'eccezione, oltre a essere  irrilevante,  e'  anche
infondata. 
    Cio' posto, va  per  precisione  rimarcato  che  -  nel  pubblico
impiego - la retribuzione dei  permessi  ex  legge  n.  104/1992  non
prevede il meccanismo di conguaglio con  l'ente  previdenziale  (cfr.
anche Cassazione n. 20684/2016).  Trattasi  di  somme  a  carico  del
datore di lavoro e come tali soggette all'art. 2033 del codice civile
in ipotesi di indebita percezione delle stesse. 
    Nella  giurisprudenza   ordinaria   di   legittimita',   infatti,
l'identificazione  dell'art.  2033  del  codice  civile  come   norma
regolatrice delle fattispecie di indebito nei rapporti tra datore  di
lavoro pubblico e lavoratore e' dato acquisito. 
    In tal senso si  ritiene  di  poter  richiamare,  tra  le  molte,
Cassazione n. 8338/2010: 
        In materia di impiego  pubblico  privatizzato,  nel  caso  di
domanda di ripetizione dell'indebito proposta da una  amministrazione
(nella specie, da una AUSL) nei confronti di un proprio dipendente in
relazione alle somme corrisposte a titolo  di  retribuzione,  qualora
risulti accertato che l'erogazione  e'  avvenuta  «sine  titulo»,  la
ripetibilita' delle somme non puo' essere esclusa ex  art.  2033  del
codice civile per la buona fede dell'«accipiens»,  in  quanto  questa
norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione
dei frutti e degli interessi. 
    Sono conformi, tra le altre, Cassazione n. 30/2020, Cassazione n.
29926/2008,  Cassazione  n.  11547/2021,  Cassazione  n.  13479/2018,
Cassazione n. 4619/2019,  Cassazione  n.  20997/2019,  Cassazione  n.
21267/2017, Cassazione n. 24835/2015. 
    Cassazione  n.  4323/2017,  per  quanto   motivata   in   termini
parzialmente diversi, giunge a conclusioni non  dissimili  e  postula
pur sempre l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile al caso di
specie. La stessa si da' carico di motivare rispetto ad  orientamenti
parzialmente divergenti del Consiglio di  Stato  e  della  Corte  dei
conti, che - come si dira' oltre - sono da considerarsi superati  dal
diritto vivente anche in  quella  giurisdizione  (amministrativa)  o,
comunque, inapplicabili al caso di specie (rispetto  all'orientamento
della magistratura contabile, in relazione all'indebito pensionistico
pubblico). 
    In ogni caso, la  stessa  decisione  appare  -  rispetto  al  suo
percorso  motivazionale  nella  parte  in  cui   invero   sembrerebbe
considerare  anche  la   buona   fede/affidamento   ai   fini   della
ripetibilita' - comunque isolata rispetto al  pressocche'  monolitico
orientamento della Cassazione sopra riportato. 
    Trattasi - in sostanza - di un orientamento (quello  che  prevede
la applicabilita' senza deroghe dell'art. 2033 del  codice  civile  a
casi come quello di specie) che rispecchia - per costanza applicativa
e coerenza dei rimandi - un vero e proprio diritto vivente. Da quanto
sopra  deriva  l'insensibilita'  della  norma  rispetto  a  qualsiasi
valutazione  della  buona  fede  o  del  legittimo  affidamento   del
percipiente relativamente alla sorte capitale del debito. 
    I potenziali riflessi in tema di decorrenza di frutti e interessi
non rilevano nel caso di specie non essendovi specifica questione sul
punto e comunque essendo oggetto principale del giudizio la questione
sulla irripetibilita' dell'indebito in se'. 
    Tale «insensibilita'» viene altresi'  giustificata  dalla  natura
pubblica delle risorse  erogate  che,  anche  ai  fini  della  tutela
dell'art. 97 della Costituzione e dell'art.  81  della  Costituzione,
impongono  obbligatoriamente  di  attivarsi  per  il  recupero  degli
indebiti. 
    La stessa giurisprudenza amministrativa, come sopra accennato, ha
visto la presenza di un orientamento,  invero  minoritario,  che  pur
predicando  l'applicazione  dell'art.  2033  del  codice  civile   ne
mitigava  l'applicazione  prendendo  in   considerazione   anche   la
posizione soggettiva del percipiente (CdS, VI  sezione,  sentenza  n.
5315 del 2014, CdS, V sezione, 13 aprile 2012, n. 2118). 
    Tale orientamento, oltre a  risultare  minoritario  appare  anche
frutto di un'interpretazione antiletterale della norma. 
    Inoltre,  anche  nel  caso  di   specie,   il   diritto   vivente
sviluppatosi in seno alla giurisprudenza amministrativa  consente  di
ritenere tali precedenti come minoritari e sostanzialmente  superati.
In tal senso si richiama CdS., sez.  III,  9  giugno  2014,  n.  2903
nonche', piu' di recente, CdS, sez. I, parere n. 976/2021  in  affare
90/2018, che afferma: 
        In tal senso, come sopra anticipato, la replica  ministeriale
corrisponde alla consolidata  giurisprudenza  formatasi  in  subiecta
materia, giurisprudenza che il  Collegio  non  intende  disattendere.
Secondo questa giurisprudenza  (Consiglio  di  Stato,  sez.  III,  26
maggio 2015, n. 3218, id., n. 2903 del 2014; sez. V., 8 gennaio 2020,
n. 140; Cons. giust.  amm.  Sicilia,  9  giugno  2017,  n.  287)  «la
percezione di emolumenti non dovuti da parte dei pubblici  dipendenti
impone all'amministrazione l'esercizio del diritto-dovere di ripetere
le relative somme ai sensi  dell'art.  2033  del  codice  civile;  il
recupero  e'  atto  dovuto,  privo  di  valenza   provvedimentale   e
costituisce il risultato di attivita' amministrativa, di  verifica  e
di controllo, di spettanza di tutti gli uffici pubblici in  merito  a
spese erogabili e/o erogate  a  carico  [in  quella  fattispecie  del
Servizio sanitario nazionale -  n.d.r.],  quindi  necessariamente  da
recuperare e/o da trattenere in caso di accertata loro non debenza, a
tutela proprio dell'erario e dell'utenza, in  tempi  ragionevoli  con
riguardo  alla  singola  fattispecie.  In  tali  ipotesi  l'interesse
pubblico e' "in re ipsa" e non  richiede  specifica  motivazione,  in
quanto, a prescindere dal tempo trascorso, l'atto oggetto di recupero
ha prodotto e produce di per  se'  un  danno  per  l'amministrazione,
consistente nell'esborso di  denaro  pubblico  senza  titolo,  ed  un
vantaggio ingiustificato per  il  dipendente  (cfr.,  fra  le  altre,
Consiglio di Stato - sez. VI, n. 6500/2012 e n.  4284/2011).  La  non
ripetibilita' delle maggiori somme  corrisposte  dell'amministrazione
al dipendente puo', semmai,  trovare  riscontro  solo  in  specifiche
disposizioni normative (cfr. Consiglio di Stato - sez. IV, 3 dicembre
2010, n. 8503), e il solo temperamento  al  principio  dell'ordinaria
ripetibilita' dell'indebito e' rappresentato dalla regola per cui  le
modalita' di recupero devono essere, in relazione alle condizioni  di
vita del debitore, non eccessivamente onerose, ma tali da  consentire
la duratura percezione di una retribuzione che rassicuri un'esistenza
libera e dignitosa (cfr., fra le altre, Consiglio di Stato - sez.  VI
n. 3950/2009)». 
    Pertanto, anche la  piu'  recente  giurisprudenza  amministrativa
definisce come consolidato l'orientamento che applica l'art. 2033 del
codice civile in caso di ripetizione di indebito. Unico  temperamento
che risulta ammesso e'  quello  rispetto  al  quomodo  del  recupero,
circostanza che non attiene al giudizio sottoposto all'attenzione  di
questo giudice e che comunque si  pone  a  valle  della  questione  -
dirimente - qui da affrontare. 
    Ne' risultano estensibili gli orientamenti in materia di indebito
pensionistico pubblico  in  quanto  afferenti  a  settore  diverso  e
regolato da una propria normativa specifica non applicabile  al  caso
di specie (cfr. Cassazione n.  4323/17  in  motivazione,  punti  3  e
seguenti e 4 e seguenti). 
    Inoltre,  come  detto,  il   diritto   vivente   e'   nel   senso
dell'applicazione a fattispecie come quella in oggetto dell'art. 2033
del codice civile e pertanto - anche alla luce  delle  argomentazioni
di cui a Corte costituzionale n. 166/1996 - a  tale  norma  va  fatto
riferimento nel caso di specie. 
    Risulterebbero quindi irrilevanti - stante l'oggetto del  ricorso
di merito pendente innanzi a questo giudice rimettente - sia la buona
fede sia il legittimo affidamento del percettore. 
    In sostanza la giurisprudenza  citata  viene  a  costituire  quel
diritto vivente in presenza del quale il giudice a quo -  se  e'  pur
libero di non uniformarvisi e di proporre una  sua  diversa  esegesi,
essendo la «vivenza» della norma una vicenda per definizione  aperta,
ancor piu' quando si tratti di adeguarne il  significato  a  precetti
costituzionali  -  ha  alternativamente  la  facolta'   di   assumere
l'interpretazione censurata in termini  di  «diritto  vivente»  e  di
richiederne su tale presupposto il controllo  di  compatibilita'  con
parametri costituzionali (sentenze n. 191 del 2013, n. 258 e  n.  117
del 2012 e n. 91 del 2004); cosi' Corte costituzionale  n.  242/2014;
in tal senso anche sentenze n. 33 del 2021, n. 75 del 2019, n. 39 del
2018, n. 259 e n. 122 del 2017. 
    Non si ritiene possibile,  alla  luce  di  un  cosi'  consolidato
orientamento giurisprudenziale, un'interpretazione adeguatrice  della
norma e si ritiene pertanto che l'unica soluzione  prospettabile  sia
quella volta a sollevare un incidente di costituzionalita'. 
    Ne' - in ultimo  -  a  diversa  valutazione  conduce  la  recente
sentenza del Consiglio di Stato n. 5014/2021. La stessa invero -  con
una parabola argomentativa che la rende ipotesi  a  se'  rispetto  al
pregresso e minoritario orientamento del  giudice  amministrativo  e,
pertanto, necessitante di essere affrontata  separatamente  -  sembra
aver  fatto  diretta  applicazione  dei   principi   CEDU   (sentenze
Cakarevich e [...]) disapplicando la speciale  normativa  applicabile
al caso di specie da essa affrontato. 
    Tuttavia, la stessa appare inidonea a  scalfire  il  ragionamento
sopra esposto per i seguenti motivi: 
        la sentenza riguarda una fattispecie  nella  quale  entra  in
gioco, almeno parzialmente, una disciplina normativa non rilevante in
questo caso, ossia l'art. 9 della legge n. 428 del 1985 e  l'art.  5,
comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 429 del 1986.
Entrambe hanno ad oggetto i c.d. pagamenti automatizzati. Nel caso di
specie, si verte in punto di  spettanza  dei  permessi  ex  legge  n.
104/1992;  invero,  nella  fattispecie  oggetto  della  sentenza   n.
5014/2021 sembra non rilevare l'art. 2033 del codice civile,  essendo
piuttosto rilevante stabilire se  il  caso  concreto  consentisse  di
ripetere le somme oltre i limiti dell'art. 9 della legge n. 428/1985; 
        la  sentenza,  punto  19  delle   motivazioni,   sembra   far
riferimento, rispetto al protocollo addizionale CEDU, alla nozione di
disapplicazione propria  delle  norme  eurounitarie.  In  assenza  di
adesione dell'Unione europea alla CEDU non appare possibile pervenire
alla disapplicazione di una norma interna per contrasto con l'art.  1
del protocollo addizionale CEDU; 
        l'introduzione della nozione di legittimo affidamento e buona
fede nella valutazione della  ripetizione  di  un  indebito  soggetto
all'art.  2033  del   codice   civile   comporta   un'interpretazione
antiletterale e parzialmente abrogatrice  della  norma  e  questo  in
presenza di un diritto vivente che,  come  sopra  illustrato,  sembra
orientato alla piena applicazione dell'art. 2033 del  codice  civile.
Infatti - arg. ex Corte costituzionale n.  77/2007,  punto  4  ss,  e
Corte costituzionale n. 123/2020 - si sarebbe davvero in presenza  di
un'interpretazione antiletterale del testo che poggia sull'innesto di
un elemento (buona fede) previsto dall'art. 2033  del  codice  civile
con specifico riferimento alla restituzione di frutti e  interessi  e
non  al  debito  «principale».  Cio'  senza  considerare   anche   le
argomentazioni sopra spese per  le  ulteriori  «critiche»  a  CdS  n.
5014/2021. 
    In assenza di intervento  di  codesta  ecc.ma  Corte  la  domanda
andrebbe quindi rigettata nel  merito  (con  conseguente  venir  meno
della tutela cautelare adottata in corso di causa) in  quanto  -  con
l'applicazione  dell'art.   2033   del   codice   civile   per   come
costantemente  interpretato  -  non  potrebbero   essere   presi   in
considerazione una serie di elementi fattuali che  il  ricorrente  ha
allegato per provare la  propria  buona  fede  e  la  formazione  del
proprio legittimo affidamento. Infatti, il punto di partenza fattuale
non contestato e' che per il periodo oggetto di causa  effettivamente
la  fruizione  dei  permessi   non   fosse   supportata   da   idonea
documentazione sanitaria rispetto al familiare da assistere.  Proprio
per questo parte ricorrente poggia le proprie  difese  sul  riscontro
della buona fede e  di  un  legittimo  affidamento  ingenerato  dalla
condotta dell'amministrazione. 
    Viceversa, in caso di accoglimento della questione qui sollevata,
questo giudice potrebbe  valutare  nel  merito  le  allegazioni  e  i
documenti prodotti dal ricorrente al fine di provare  la  sussistenza
della buona fede e di un legittimo affidamento nella percezione degli
emolumenti ora chiesti in ripetizione. 
    La  questione,  come  detto,  e'  non  solo  rilevante  ma  anche
dirimente rispetto all'iter logico che questo  giudice  deve  seguire
nella decisione della controversia. 
    Come rappresentato da codesta ecc.ma Corte - sentenza n. 59/2021,
tra le  altre  -  La  rilevanza  si  configura  come  «necessita'  di
applicare la disposizione censurata nel  percorso  argomentativo  che
conduce alla decisione e si riconnette all'incidenza della  pronuncia
di questa Corte su qualsiasi tappa di tale percorso» (sentenza n. 254
del 2020, punto 4.2. del Considerato  in  diritto).  L'applicabilita'
della disposizione censurata  e'  dunque  sufficiente  a  fondare  la
rilevanza della questione proposta (fra le molte, sentenza n. 174 del
2016, punto 2.1. del Considerato in diritto). 
    Alla luce delle argomentazioni sopra esposte, la rilevanza  della
questione risiede nell'applicazione dell'art. 2033 del codice  civile
per come interpretato dal diritto vivente sopra riportato. 
    Il quadro giurisprudenziale  induce  a  ritenere  che,  pertanto,
l'orientamento in diritto assunto  nella  fase  cautelare  non  possa
essere piu' mantenuto fermo e - per le sopra esposte argomentazioni -
vada sollevata la presente questione di legittimita'. 
    In sintesi: 
        in assenza di intervento additivo di codesta ecc.ma Corte, il
ricorso andrebbe rigettato, con conseguente caducazione della  misura
cautelare emessa in corso di causa,  in  quanto  il  diritto  vivente
postula l'applicazione dell'art. 2033 del codice civile il quale  non
consente di valutare la buona fede e  il  legittimo  affidamento  del
percettore; 
        in  caso  di  accoglimento,  di  contro,  il  giudice   nella
valutazione del merito della causa potrebbe/dovrebbe tenere conto  di
una serie di elementi di fatto indicati e provati  in  ricorso  (cfr.
paragrafo seguente) al fine di giudicare circa  la  ripetibilita',  o
meno,  dell'indebito  (valutazione,  come  sopra  detto,   altrimenti
preclusa). 
    La presenza di un provvedimento cautelare in corso di  causa  non
incide  sulla  rilevanza  della  questione  in  quanto  la   presente
ordinanza di rimessione e' stata emessa  all'esito  della  Camera  di
consiglio seguente la trattazione della causa in fase di merito. 
    Non manifesta infondatezza. 
    L'art. 2033 del codice  civile  -  anche  alla  luce  del  citato
diritto vivente - si pone in contrasto con l'art.  11  e  con  l'art.
117, comma 1 della Costituzione in relazione  all'art.  1  protocollo
addizionale CEDU ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955,
n.  848  cosi'  per  come  risulta  interpretato  alla   luce   della
giurisprudenza della Corte EDU. 
    In tal senso - infatti  -  la  consolidata  giurisprudenza  della
Corte EDU qui richiamata accorda ai diritti di  credito  entrati  nel
patrimonio di un soggetto tutela analoga a  quella  della  proprieta'
privata, facendo rientrare tali situazioni giuridiche nell'ambito  di
applicazione del citato art. 1 protocollo addizionale CEDU. 
    Sulla scorta di tale equiparazione di tutele, con  una  serie  di
pronunce, la Corte EDU e' giunta a sindacare - sotto il profilo della
proporzionalita' - l'azione di recupero avviata dalle amministrazioni
pubbliche (in materia sia lavoristica sia previdenziale). 
    Tale giurisprudenza ha riguardato anche l'Italia,  che  e'  stata
condannata per violazione della norma convenzionale  sopra  riportata
nell'ambito del procedimento Corte EDU, sezione 1, sentenza [...]  c.
Italia, 11 febbraio 2021, r.g. n.  4893/13  (circostanza  relativa  a
ripetizione di indebito in materia di pubblico impiego  privatizzato,
come nel caso di specie). 
    Come riportato anche  da  CdS  n.  5014/2021,  la  Corte  EDU  ha
delineato  una  serie  di  indicatori  che  consentono  di   ritenere
illegittima l'interferenza: 
        (§74 della richiamata decisione):  «a)  il  pagamento  di  un
assegno deve  essere  effettuato  a  seguito  di  una  richiesta  del
beneficiario che agisce in buona fede [...] o,  in  assenza  di  tale
richiesta,  dalle  autorita'  che  procedono  spontaneamente;  b)  il
versamento in questione deve essere effettuato da un  ente  pubblico,
amministrazione centrale dello Stato o  altro  ente  pubblico,  sulla
base di una decisione presa al termine di un processo  amministrativo
e presumibilmente corretta  [...];  c)  deve  essere  basato  su  una
disposizione   legale,   regolamentare   o   contrattuale,   la   cui
applicazione deve essere percepita dal beneficiario come  la  "fonte"
del pagamento [...], e anche identificabile nel suo  importo;  d)  e'
escluso il pagamento manifestamente  privo  di  titolo  o  basato  su
semplici errori di calcolo; tali errori possono essere  rilevati  dal
beneficiario, eventualmente ricorrendo ad un esperto; e) deve  essere
eseguito per un periodo sufficientemente lungo  da  far  sorgere  una
ragionevole convinzione che sia definitivo e stabile [...]; l'assegno
versato non deve essere riconducibile ad  un'attivita'  professionale
una  tantum  e  "isolata"  ma  deve  essere  collegato  all'attivita'
ordinaria; f) infine, il pagamento in questione non deve essere stato
effettuato con menzione di una riserva di ripetizione». 
    Tali indicazioni sono anche frutto dei richiami giurisprudenziali
ad altre  pronunce  Corte  EDU  che  hanno  delineato  un  comune  (e
consolidato) assetto di principi in materia  (cfr.  anche  Romeva  c.
Macedonia del Nord, caso n. 32141/10, 12 dicembre 2019; Čakarević  c.
Croazia caso n. 48921/13, 26 aprile 2018, tra le altre). Tale assetto
della  giurisprudenza  sovranazionale  consente  anche  di   ritenere
consolidato l'orientamento della Corte EDU in  materia  (come  sembra
anche richiesto da Corte costituzionale n. 49/2015 per fungere  quale
parametro di legittimita' costituzionale). 
    Ulteriormente, la  sentenza  Cakarevic  ha  statuito  in  via  di
principio che errori dell'ente non dovrebbero  -  di  base  -  essere
posti a carico del cittadino (cita in tal senso  altre  pronunce  del
medesimo organo: Platakou v. Greece, no. 38460/97, § 39; Radchikov v.
Russia, no. 65582/01, § 50, 24 maggio 2007; Freitag v.  Germany,  no.
71440/01, §§ 37-42, 19 luglio  2007;  and  Šimecki  v.  Croatia,  no.
15253/10, § 46, 30 aprile  2014).  Inoltre,  i  tempi  di  intervento
dell'ente erogante dovrebbero essere contenuti e congrui (cita in tal
senso la pronuncia nel caso Tunnel  Report  Limited  v.  France,  no.
27940/07, § 39, 18 novembre 2010, and Zolotas v. Greece (no. 2),  no.
66610/09, § 42). 
    Tali richiami sono fatti propri anche dalla citata sentenza. 
    Nel caso di specie, quindi la  giurisprudenza  sovranazionale  ha
delineato un modello che -  in  un'ottica  di  bilanciamento  con  il
principio di proporzionalita' - limita il recupero di somme da  parte
del datore di lavoro  pubblico  in  presenza  di  talune  circostanze
(sintetizzabili  nell'ipotesi  di  riconosciuta  formazione   di   un
legittimo affidamento del percettore di buona fede). 
    Orbene, nel caso concreto  sottoposto  all'attenzione  di  questo
giudice, sono stati allegati e  provati  elementi  sussumibili  nelle
indicazioni fornite dalla Corte EDU; infatti: 
        i benefici sono stati fruiti a  seguito  di  domanda  accolta
dall'amministrazione; 
        non vi era alcuna manifesta insussistenza del  titolo,  tanto
piu' che il ricorrente ha sempre prodotto la documentazione sanitaria
sopravvenuta ed e' stata  l'amministrazione  che  la  ha  considerata
valida; 
        il ricorrente non ha mai taciuto informazione alcuna all'ente
datore di lavoro (come  espressamente  confermato  dalla  memoria  di
Agenzia delle entrate, pg. 2); 
        il ricorrente ha fruito dei benefici per un lungo periodo  di
tempo, circa sei anni (...); 
        sulla  base  del  medesimo  presupposto  il   ricorrente   ha
formulato anche domanda di avvicinamento alla propria residenza; 
        Agenzia delle entrate parla di errore nell'inserimento  nella
procedura  gestione   assenze   relativamente   alla   durata   della
certificazione medica, tuttavia di questo  errore  non  vi  e'  prova
documentale  e  inoltre  il  ricorrente   ha   sempre   prodotto   la
documentazione aggiornata e quindi non  si  coglie  perche'  non  sia
stata  valutata  la  documentazione  successivamente   prodotta;   in
sostanza, e' la  condotta  del  datore  di  lavoro  che  appare  aver
ingenerato nel ricorrente  l'affidamento  circa  la  persistenza  del
diritto e l'idoneita'  della  documentazione  prodotta;  inoltre,  va
fatto  presente  che  l'amministrazione   non   ha   prodotto   alcun
provvedimento di concessione temporanea dei  permessi  continuando  a
consentire la fruizione degli stessi anche dopo che - correttamente -
il ricorrente aveva prodotto il verbale di revisione.  Piuttosto  che
di errore di inserimento dati (di  cui  l'ente  datore  non  fornisce
prova alcuna), sembra potersi affermare - dall'analisi degli atti  di
causa - piuttosto che l'ente abbia considerato idonea  la  produzione
documentale successiva; 
        il pagamento dei permessi retribuiti e' avvenuto  sulla  base
di fonte certa, nota al ricorrente e distinguibile nell'ammontare; 
        non si tratta di mero errore di calcolo e non vi e'  menzione
di ripetizione nel pagamento. 
    Tuttavia, in assenza di intervento di codesta ecc.ma  Corte  tali
elementi non potrebbero essere valutati al fine di statuire circa  la
ripetibilita' delle somme percepite ma al piu'  -  in  linea  con  il
tenore letterale dell'art. 2033  del  codice  civile  e  con  la  sua
costante  interpretazione  di  legittimita'  -  circa  misura   degli
accessori del credito restitutorio (questione pero'  non  oggetto  di
specifica censura in  ricorso  e  comunque  eventualmente  secondaria
rispetto a quella logicamente preliminare, ossia la dichiarazione  di
irripetibilita' dell'indebito). 
    L'art. 1 del citato protocollo addizionale  alla  Convezione  EDU
impone invece,  per  come  interpretato  dalla  giurisprudenza  della
stessa Corte  EDU,  che  per  essere  legittima  una  ripetizione  di
indebito debba rispettare, anche, il criterio di  proporzionalita'  e
tale rispetto va valutato tenendo della buona fede  e  del  legittimo
affidamento  del  percettore;  elementi  questi  riscontrabili  anche
attraverso una serie di elementi indiziari che la  Corte  EDU  si  e'
premurata di indicare. In sostanza, l'assenza nella normativa interna
di una possibilita' di valutazione di tali  elementi  (buona  fede  e
legittimo affidamento) rispetto alla  ripetibilita'  di  un  indebito
costituisce una non proporzionata interferenza violativa dell'art.  1
protocollo addizionale cit. 
    Deve quindi rilevarsi che  la  disposizione  dell'art.  2033  del
codice civile - per come applicabile al caso di  specie  in  base  al
diritto vivente - si pone in contrasto con l'art. 11  e  l'art.  117,
comma  1  della  Costituzione  in  relazione  all'art.  1  protocollo
addizionale CEDU firmato a  Parigi  il  20  marzo  1952  (cosi'  come
interpretato dalle sentenze della Corte EDU sopra  richiamate)  nella
parte in cui non prevede l'irripetibilita' dell'indebito  retributivo
del pubblico dipendente percettore di somme in buona fede laddove  la
condotta dell'ente datore abbia ingenerato un  legittimo  affidamento
circa la spettanza della pretesa. 
    Va  parimenti  precisato  che  -  ...  sebbene   l'ordinanza   di
rimessione  delle  questioni  di  legittimita'   costituzionale   non
necessariamente deve concludersi con un dispositivo recante  altresi'
un petitum, essendo sufficiente  che  dal  tenore  complessivo  della
motivazione emerga con chiarezza  il  contenuto  ed  il  verso  delle
censure (sentenza n. 175 del 2018), cosi' anche Corte  costituzionale
n. 194/2021 - la richiesta  della  presente  pronuncia  additiva  non
incide su profili di discrezionalita' del legislatore  in  quanto  la
nozione di buona fede e', seppure in diversa funzione, gia' presa  in
considerazione dall'art. 2033 del codice civile. Inoltre,  la  stessa
giurisprudenza sovranazionale contiene indici  sintomatici  circa  la
sussistenza del citato legittimo affidamento  e  pertanto  sussistono
criteri ermeneutici consolidati che, in caso  di  accoglimento  della
sollevata questione, potrebbero guidare l'interprete. 
    Si ritiene parimenti doveroso sottolineare che  la  stessa  Corte
EDU ha ritenuto la  violazione  dell'art.  1  protocollo  addizionale
della Convenzione  sotto  il  profilo  della  proporzionalita'.  Cio'
induce a rappresentare che - dato il consolidato  orientamento  della
Corte EDU - non venga del tutto meno la doverosita' della ripetizione
delle somme da parte dell'amministrazione (che trova la propria fonte
nei principi degli articoli  81  e  97  della  Costituzione)  ma,  di
contro, l'ente datore di lavoro in  sede  amministrativa,  prima,  ed
eventualmente il giudice in sede contenziosa, dopo, dovranno valutare
la sussistenza dei presupposti del  legittimo  affidamento  (e  della
iniziale percezione in buona fede) per  come  sopra  delineato/i.  In
sostanza, si  introduce  un  bilanciamento,  ispirato  a  criteri  di
proporzionalita', tra l'obbligo di agire  dell'amministrazione  e  la
tutela del patrimonio del soggetto «debitore». 
    Ne' viene incisa la discrezionalita' del legislatore - ad  avviso
di questo giudice - in quanto  la  pronuncia  manipolativa  richiesta
appare «vincolata» dalla costante giurisprudenza della  Corte  EDU  e
pertanto  non  si  ritiene  possano  trovare  fondamento   i   limiti
discrezionali indicati da codesta  ecc.ma  Corte  nella  sentenza  n.
1/2006, che - pur vertendo  in  diversa  fattispecie  -  comunque  si
ritiene vada presa in  considerazione  ancorche'  per  escluderne,  a
sommesso avviso di questo giudice, la rilevanza nel caso  di  specie.
In conclusione, il verso della soluzione proposta si ritiene  l'unico
in grado di garantire il rispetto della Convenzione europea per  come
interpretata  dalla  consolidata  giurisprudenza  CEDU  (cfr.   Corte
costituzionale n. 12/2022, punto 2.3). 
    Si  tratta  quindi  di  introdurre  nell'ordinamento  interno  un
bilanciamento tra interessi che renda proporzionato l'intervento  del
datore di lavoro pubblico in fase di recupero. Tale bilanciamento tra
il patrimonio del ricorrente e le  esigenze  dell'amministrazione  e'
reso necessario dai vincoli internazionali che lo Stato e'  tenuto  a
rispettare  in  virtu'  degli  articoli  11  e  117,  comma  1  della
Costituzione (nel caso di specie in relazione all'art.  1  protocollo
addizionale Convenzione EDU  firmato  a  Parigi  il  20  marzo  1952,
ratificato  e  reso  esecutivo  con  legge  4  agosto  1955,  n.  848
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955). 
    La  disciplina  dell'art.  2033  del  codice   civile   si   pone
conseguentemente in contrasto con gli articoli  11  e  117,  comma  1
della Costituzione in relazione  all'art.  1  protocollo  addizionale
Convenzione EDU firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e  reso
esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848 pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 per  come  interpretato  dalla
giurisprudenza della Corte EDU. 

(1) Nel  presente  giudizio  non  vengono  in  rilievo  provvedimenti
    impugnabili  entro  termini  di   decadenza,   come   si   evince
    dall'analisi dagli atti di causa. Ne' - d'altronde  -  alcuno  ha
    fatto di cio' questione. 

(2) Art. 2033 del codice civile: Chi ha  eseguito  un  pagamento  non
    dovuto ha diritto di ripetere cio'  che  ha  pagato.  Ha  inoltre
    diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del  pagamento,  se
    chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure,  se  questi  era  in
    buona fede, dal giorno della domanda.